È noto che la malafede, a volte, non può essere facilmente distinguibile dalla spontanea tendenza a fare disinformazione, e che il negazionismo può emergere facilmente anche in maniera inconscia.Il problema si pone, però, in modo serio quando il negare una evidenza scientifica giunge a livelli veramente sfrontati, sfruttando la comunicazione mediatica attraverso il pullulare di esperti falsati dalla loro stessa faziosità, dall’uso di fallacie logiche, dalla richiesta di aspettative impossibili, dall’elevazione ad argomentum di inaccettabili e infantili pregiudizi ascentifici (“implausibilità delle alte diluizioni”, ad es.) e tutto questo nonostante il lavoro continuativo di una esperta comunità scientifica internazionale che in più campi d’indagine dimostra con pubblicazioni peer reviewed esattamente il contrario da anni.
Negare l’evidenza rappresenta, in questo caso, solo il maldestro, pernicioso, ma lucido tentativo di falsificare la realtà e rifiutare il consenso scientifico che inevitabilmente emerge quando una pratica medica fondata su presupposti sperimentali – come è l’omeopatia – continua in modo continuativo da oltre 200 anni a dimostrare di funzionare attraverso la quotidiana attività medica professionale svolta da decine di migliaia e migliaia di medici chirurghi in tutto il mondo (oltre 100 Paesi) a favore di centinaia di milioni di malati .
Con il termine “migliori studi” ci si riferisce alle Revisioni Sistematiche (RS) – pubblicate su riviste peer reviewed – che analizzano i risultati già ottenuti dagli studi clinici randomizzati con controllo placebo (RCT) disponibili in letteratura su di un dato argomento.
Sebbene le revisioni sistematiche (RS) concentrino l’analisi generalmente solo su aspetti specifici di una data patologia o di intervento sanitario, cercando di rispondere a pochi e ben definiti quesiti clinici [Ecco una tipica domanda a cui risponde una RS: “Quale tra questi due interventi terapeutici è più efficace nel ridurre la mortalità in questo tipo di pazienti?”], in campo medico omeopatico sono stati condotti fino ad oggi 6 studi statisticamente elaborati secondo questa tipologia.
Di questi 6 lavori,
- Cinque revisioni sistematiche hanno dato risultati positivi a favore dell’omeopatia – ed hanno indicato una evidenza di efficacia dell’omeopatia superiore al placebo, richiamando l’opportunità di realizzare un numero maggiore di studi di qualità superiore per ampliare la portata delle conclusioni [1,2,3,4,6]
- Una ha dato un risultato negativo a sfavore dell’omeopatia – ed ha suggerito (valutando però un numero molto ristretto di ricerche) che l’omeopatia non ha un’efficacia superiore al placebo [5].
Nello specifico le conclusioni a cui sono giunte le sei diverse revisioni sistematiche:
Kleijnen et al. 1991: ‘Al momento, l’evidenza degli studi clinici è positiva, ma insufficiente per trarre delle conclusioni definitive perché molti degli studi presentano una scarsa qualità metodologica e anche per il ruolo sconosciuto dell’errore sistematico (bias) di pubblicazione. Ciò indica che vi sono legittimi motivi per effettuare ulteriori valutazioni in omeopatia, ma solo mediante degli studi ben disegnati. ’ [1]
Linde et al. 1997: ‘I risultati della nostra meta-analisi non sono compatibili con l’ipotesi secondo cui gli effetti clinici dell’omeopatia sono dovuti solo al placebo. Tuttavia, questi studi non hanno fornito sufficienti prove che l’omeopatia sia chiaramente efficace in ogni patologia. Pertanto, è giustificato che l’omeopatia sia oggetto di ulteriori ricerche sempre e quando siano rigorose e sistematiche” [2]
Linde et al. 1999: ‘Concludiamo che, nello studio esaminato, emerge una chiara evidenza che gli studi di miglior qualità metodologica hanno la tendenza a fornire risultati meno positivi.’ [3]
Cucherat et al. 2000: ‘Sedici studi sono stati inclusi nella revisione con 5.180 partecipanti. Uno degli studi ha avuto 3 gruppi di trattamento quindi ci sono stati un totale di 17 confronti. Undici dei 17 confronti (65%) hanno dato risultati statisticamente significativi a favore del trattamento omeopatico. Una tendenza statisticamente non significativa a favore del placebo è stata osservata in 3 confronti. […] Ci sono evidenze che suggeriscono che i trattamenti omeopatici sono più efficaci del placebo; tuttavia, la forza di questa evidenza è limitata dalla scarsa qualità metodologica degli studi. Gli studi di elevata qualità metodologica hanno più probabilità di essere negativi rispetto agli studi di qualità inferiore. Vi è dunque bisogno di ulteriori studi di elevata qualità per confermare questi risultati.’ [4]
Shang et al. 2005: ‘Gli errori sistematici (bias) sono presenti negli studi con controllo placebo in omeopatia e in medicina convenzionale. Quando nell’analisi si sono considerati questi errori sistematici, si è osservata un’evidenza debole riguardo ad un effetto specifico dei rimedi omeopatici, ma una forte evidenza della terapia convenzionale. Questo risultato è compatibile con il concetto che l’efficacia dell’omeopatia sia attribuibile ad un effetto placebo.’ [5]
Mathie et al. 2014: ‘I medicinali prescritti nell’omeopatia individualizzata hanno effetti terapeutici specifici e limitati. I risultati sono coerenti con un sottogruppo di dati disponibili in una precedente revisione sistematica ‘globale’. La scarsa o poco chiara qualità globale delle evidenze spinge ad una certa cautela nell’interpretazione dei risultati. E’ necessario condurre un nuovo studio di elevata qualità (RCT) per arrivare a conclusioni più decisive.’ [6]
Lo studio negativo – noto come ‘The Lancet Study’ o ‘Shang paper’ pubblicato nel 2005 – resta l’unico studio ad aver concluso che l’omeopatia non è altro che un effetto placebo.
Dunque, quando si dice, “I migliori studi hanno dimostrato che l’omeopatia ha una efficacia dovuta all’effetto placebo”, in realtà ci si basa su di un unico articolo che
a) è contraddetto da altri cinque lavori scientifici,
b) ha suscitato numerose critiche in ambito scientifico per essere risultato carente e arbitrario,
c) è oggi superato dalla ricerca pubblicata nel 2014 da Mathie et al. [6]
I risultati più recenti di Mathie et al. 2014:
La più recente e completa revisione sistematica che sia stata fatta sull’omeopatia, ha riscontrato che analizzando solo gli studi randomizzati controllati di migliore qualità, i medicinali omeopatici prescritti nel corso di trattamenti medici individualizzati hanno una probabilità da 1.5 a 2.0 volte maggiore di essere efficaci rispetto al placebo [6].
L’errata convinzione secondo cui gli studi di elevata qualità dimostrerebbero che l’omeopatia non è efficace, deriva, quindi, dalla non corretta interpretazione di due revisioni sistematiche complete (Linde del 1997 [2] e Shang del 2005 [5]) che avevano al contrario evidenziato studi di elevata qualità.
Ecco quello che le evidenze di questi studi dicono effettivamente:
– “Nel 1997 Klaus Linde e collaboratori hanno identificato 89 studi clinici con odds ratio di 2.45 a favore dell’omeopatia rispetto al placebo. Vi era una tendenza verso una minor efficacia in studi di elevatissima qualità, ma i 10 studi con il più alto punteggio di qualità sulla scala di Jadad hanno dimostrato, nuovamente, che l’omeopatia ha avuto un effetto statisticamente significativo.” [7]
– Lo studio di Shang del 2005, invece, ha comparato la qualità degli studi in omeopatia e in medicina convenzionale, studiando 110 studi simili in ognuna delle due discipline. Al termine di questa revisione sono stati classificati come ricerche di “qualità superiore” 21 studi di omeopatia e 9 studi di medicina convenzionale” (su 110). I risultati erano a favore dell’efficacia dell’omeopatia, superiore al placebo. Ma a fronte di questi dati, il gruppo di Shang successivamente decise (in modo del tutto arbitrario e senza motivare le ragioni delle esclusioni) di analizzare solo 8 (su 21) di questi studi di elevata qualità in omeopatia, modificando così i risultati finali della revisione, che in questo modo da un iniziale risultato favorevole all’efficacia dell’omeopatia, sono stati riposizionati su di un risultato negativo per l’omeopatia, non superiore al placebo.
In realtà, quindi, la revisione sistematica originariamente condotta da Shang (secondo la normale metodologia standardizzata Cochrane, ossia analizzando tutti gli studi scelti per migliore qualità in omeopatia), aveva concluso che “i risultati sono positivi e indicano che l’omeopatia ha un effetto superiore al placebo [8].
Inoltre la successiva revisione sistematica di Mathie et al. include 151 studi randomizzati controllati con placebo – 41 in più rispetto agli studi identificati da Shang nel 2005 – che avrebbero rispettato i medesimi criteri di inclusione se fossero stati disponibili in quel momento.
Ciò dimostra come l’articolo di Shang et al. di 10 anni fa – che ora copre solo il 73% degli studi disponibili – sia di fatto anche superato.
Cliccando qui di seguito, è possibile leggere un breve sunto dello studio di Mathie et al. pubblicato dal HRI (Homeopathy Research Institute) o ascoltare direttamente Robert Mathie mentre nel 2015 presenta i risultati dei suoi studi in occasione della conferenza HRI di Roma.
Se ci sono 5 studi positivi e solo 1 studio negativo, perché da parte di qualcuno si continua ad andare contro quello che dicono le evidenze scientifiche?
Il problema sembra essere quello della cosiddetta “bias di plausibilità”, ovvero, coloro che hanno il preconcetto che le alte diluizioni dell’omeopatia non siano plausibili, vedranno aprioristicamente (e arbitrariamente) i risultati della ricerca con un occhio differente da coloro che ritengono che l’omeopatia può essere efficace o è efficace.
Nel lontano 1991 gli autori del primo degli studi più rilevanti hanno espresso questo concetto in modo molto chiaro nel loro articolo: [1]
“La quantità di evidenze positive anche tra i migliori studi ci ha sorpreso.
Sulla base di queste evidenze potremmo essere pronti ad accettare che l’omeopatia possa essere efficace, se solo il meccanismo d’azione fosse più plausibile.”
Conclusioni:
In ogni ambito della ricerca non ci si basa mai su singoli lavori per avvalorare o meno un determinato argomento.
I singoli studi – a prescindere dal risultato positivo o negativo a cui giungono e malgrado la loro rilevanza metodologica, di campione, ecc. – possono non dimostrare nulla di più di quanto previsto dai loro stessi presupposti e certamente nessuna persona seria potrà mai basarsi su di una singola ricerca per validare o meno una disciplina, o l’efficacia di un farmaco o di un intervento sanitario.
In ambito scientifico quello che conta realmente è sempre la somma complessiva delle evidenze sperimentali che si ottengono in un determinato settore: ossia quel complesso di studi diversificati, realizzati con metodiche diverse, da parte di ricercatori differenti, in molteplici laboratori indipendenti tra di loro, nell’arco di una osservazione sperimentale anche protratta e verificata più volte nel tempo.
Più ampio, variegato e convergente è il numero di ricerche in uno specifico settore della conoscenza, maggiore è la validazione scientifica di quel sapere. Si chiama CONSENSO SCIENTIFICO.
In campo medico il consenso scientifico si costruisce ogni giorno, a partire dai risultati della clinica e verificando in letteratura quel complesso di studi capaci di abbracciare e avvalorare o meno i molteplici aspetti di un determinato approccio o terapia, ecc. Per gli scienziati, infatti, l’incertezza è il pane quotidiano e niente è mai assolutamente certo o funziona al 100%. Ma se le prove a favore continuano ad accumularsi, l’incertezza statistica non può diventare un’alibi per rifiutare il consenso e non agire di conseguenza.
Si parla in tal senso di prove scientifiche provenienti da: lavori di ricerca di base sviluppati sia in campo chimico, che fisico, e biologico; lavori pre-clinici, realizzati sia in vitro che in vivo; lavori clinici controllati e randomizzati Vs placebo o Vs farmaco di controllo; lavori clinici osservazionali, sia retrospettivi che prospettici e trasversali; singoli case report (casi clinici); revisioni sistematiche, qualitative e quantitative; studi specifici, clinici e sperimentali, in settori specialistici: ad es. in veterinaria, in odontoiatria, in chirurgia ecc.
Bene, la letteratura scientifica oggi disponibile in campo biomedico e nelle scienze di base (chimica, fisica, biologia, ecc.) dimostra che l’omeopatia – oltre ad una pratica clinica sviluppata ogni giorno da oltre 200 anni, in modo continuativo e organizzato in tutto il mondo, da miglia di medici a favore di milioni di pazienti – ha prodotto e produce in modo continuativo e crescente qualificate ricerche scientifiche in tutti gli ambiti di ricerca su indicati, realizzando sempre più un robusto complesso di studi provenienti dalla chimica, dalla fisica, dalla Botanica, dalla biologia umana, dalla veterinaria, dalla pre-clinica ed in primis dalla clinica medica umana.
Il resto dei discorsi sono nella migliore delle ipotesi solo chiacchiericcio privo di ogni valore scientifico.
Fonti
- Homeopathy Research Institute HRI
- Istituto Omeopatico SIMOH